SENTENZA N. 194
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Massimo VARI Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di
perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), promosso con ordinanza
emessa il 18 ottobre 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui
ricorsi riuniti proposti dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) contro la
Presidenza del Consiglio dei ministri ed altre, iscritta al n. 451 del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24,
prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione della Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) nonché
l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Piero
Alberto Capotosti;
uditi l’avvocato Michele Lioi per Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica) e
l’Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 18
ottobre 2000, depositata il 7 febbraio 2001, solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art.
22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di
perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), in riferimento agli
artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, nonché, implicitamente, all’art. 136
della Costituzione.
2. - La questione è stata sollevata nel corso del giudizio avente ad oggetto
due ricorsi proposti dalla Dirstat-Finanze (ora Dirpubblica), in persona del
legale rappresentante pro tempore, il quale ha agito anche in proprio, aventi ad
oggetto l’annullamento di alcuni atti -decreti del Ministero delle finanze e
decreti direttoriali- concernenti le procedure di riqualificazione per il
personale del Ministero delle finanze ai sensi dell’art. 3, commi 205, 206 e
207, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica).
2.1. - Il Tar, in linea preliminare, dopo avere affermato la propria
giurisdizione, espone che i ricorrenti eccepiscono l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge 28 dicembre 1995,
n. 549, nel testo modificato dall’art.
22 della legge n. 133 del 1999, nella parte in cui sono state
sostanzialmente confermate le procedure selettive previste dal testo originario
dall’art. 3, comma 206 lettera b), della legge n. 549 del 1995 ed i corsi di
riqualificazione per il personale del Ministero delle finanze, con riserva del
settanta per cento dei posti vacanti al personale in servizio alla data del 31
dicembre 1998, realizzando in tal modo una cooptazione verso l’alto di questi
ultimi dipendenti, nonostante non abbiano svolto, neppure di fatto, mansioni
superiori.
Il giudice a quo deduce che la Corte costituzionale, con la sentenza
n. 1 del 1999, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi
205, 206 e 207 dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995, nella parte in cui
"prevedevano la sostituzione del concorso pubblico con procedure selettive
interne, in assenza di esigenze di rilevanza costituzionale che consentissero la
deroga alla regola del concorso pubblico". L’art.
22 della legge n. 133 del 1999 ha modificato queste ultime norme, stabilendo
che, con le procedure selettive da esse previste, può "essere coperta
unicamente una aliquota dei posti vacanti determinata nella misura del 70 %
nelle qualifiche interessate dalle procedure medesime".
2.2. - Il Tar deduce che l’art.
22 della legge n. 133 del 1999 si porrebbe in contrasto con il principio
secondo il quale la regola del pubblico concorso per l’assunzione del
personale alle dipendenze della pubblica amministrazione sarebbe derogabile
esclusivamente entro i limiti richiesti dall’esigenza di garantire il buon
andamento dell’amministrazione, ovvero altri principi di rango costituzionale.
A suo avviso, la
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1999 avrebbe infatti riferito
la regola del concorso anche all’accesso ad una qualifica funzionale
superiore, in quanto quest’ultimo costituirebbe una forma di reclutamento, che
richiede un selettivo accertamento delle attitudini non restringibile ai soli
dipendenti dell’amministrazione.
Secondo il rimettente, l’art.
22 della legge n. 133 del 1999 "non fa altro che confermare le
procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla legge n.
549/95" e, quindi, "nella sostanza viola il giudicato costituzionale
confermando disposizioni dichiarate illegittime".
Inoltre, "la modifica legislativa", prevedendo una procedura selettiva
interna e l’attribuzione a soggetti estranei all’amministrazione soltanto
del 30 % dei posti disponibili, si porrebbe in contrasto con i principi
costituzionali di concorsualità (art. 51 Cost), di parità di trattamento (art.
3 Cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, garantiti
dalla scelta dei più meritevoli (art. 97 Cost.).
Infine, la norma, stabilendo che i dipendenti dell’amministrazione finanziaria
possono partecipare ai corsi di riqualificazione anche qualora non abbiano
svolto, neppure di fatto, mansioni superiori, violerebbe gli artt. 3, 51 e 97
Cost., poiché realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento in
danno di quanti non lavorano già alle dipendenze della p.a., permettendo
l’accesso alla qualifica superiore da parte dei dipendenti i quali non solo
non hanno svolto le relative mansioni, ma sono anche privi del titolo di studio
per essa richiesto.
3. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Secondo la difesa erariale le procedure di riqualificazione in esame consistono
in una prova scritta, il cui superamento è condizione per l’ammissione al
corso di riqualificazione, al termine del quale è prevista una prova
teorico-pratica, allo scopo di accertare il possesso da parte del candidato
della professionalità richiesta per la qualifica di riferimento. I criteri
informativi delle prove e delle modalità di stesura dei questionari oggetto
delle prove selettive sono stati elaborati da un gruppo di studio nominato con
decreto ministeriale; le materie dei corsi e gli specifici percorsi formativi,
in riferimento ai diversi profili professionali, sono stati anch’essi
stabiliti con decreto ministeriale, sulla scorta delle proposte formulate da un
apposito gruppo di lavoro. Le procedure di riqualificazione, a suo avviso, non
determinerebbero una automatica progressione ad una qualifica superiore, ma
realizzerebbero una adeguata selezione, assicurando la funzionalità degli
uffici, la crescita personale e professionale dei cittadini nell’ambito del
luogo di lavoro e la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione ed al
progresso della società.
L’interveniente deduce, infine, che la deroga alla regola del pubblico
concorso sarebbe giustificata e che sarebbe altresì ragionevole la previsione
in virtù della quale il possesso di una determinata anzianità nella qualifica
immediatamente inferiore a quella oggetto del concorso costituisce un requisito
alternativo rispetto al titolo di studio.
4. - Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la Dirpubblica (già
Dirstat-Finanze), facendo proprie le argomentazioni svolte dal Tar e chiedendo
l’accoglimento della questione.
Nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica la parte insiste
nel sostenere che la norma impugnata riprodurrebbe quella già dichiarata
costituzionalmente illegittima dalla Corte e che l’ammissione alla procedura
di riqualificazione, anche in mancanza del titolo di studio richiesto per
l’accesso alla qualifica superiore, purché il dipendente vanti una certa
anzianità di servizio nella qualifica inferiore, sarebbe irragionevole, in
quanto quest’ultimo elemento sarebbe inidoneo a dimostrare il possesso della
professionalità necessaria per l’attribuzione della qualifica più elevata.
Inoltre, a suo avviso, la riserva del 70 % dei posti in favore dei dipendenti
realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli
aspiranti che possono accedervi esclusivamente mediante una ordinaria procedura
concorsuale.
5. - All’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato e la parte
costituita hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate
nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1 - La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe ha ad
oggetto l'art.
22 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di
perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), il quale -con il comma 1
lettere a), b) e c)- ha modificato i commi 205, 206 e 207 dell'art. 3 della
legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), che disciplinano la copertura del 70% dei posti disponibili nelle
dotazioni organiche dell'amministrazione finanziaria per i livelli dal quinto al
nono, mediante apposite procedure di riqualificazione riservate al personale
appartenente alle qualifiche funzionali inferiori, e con il comma 2 ha fatto
salvi gli atti e i procedimenti già adottati.
Secondo il giudice rimettente, la norma impugnata "non fa altro che
confermare le procedure già previste dalla precedente normativa di cui alla
legge n. 549 del 1995", dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza
n. 1 del 1999, cosicché la stessa norma, in quanto riproduttiva di
disposizioni già dichiarate costituzionalmente illegittime, "nella
sostanza viola il giudicato costituzionale". Inoltre "la modifica
legislativa" censurata, prevedendo una procedura selettiva interna per il
conferimento di una qualifica funzionale superiore e stabilendo che soltanto il
30% dei posti disponibili possono essere attribuiti a coloro che non sono già
dipendenti dell'amministrazione finanziaria, derogherebbe ingiustificatamente
alla regola del pubblico concorso, che riguarderebbe anche la fattispecie in
esame, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali della parità
di trattamento (art. 3 della Costituzione) e di buon andamento ed imparzialità
della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione).
Infine la norma censurata, disponendo che i dipendenti possono partecipare ai
corsi di riqualificazione, anche se non hanno svolto, neppure di fatto, mansioni
superiori, violerebbe, sotto altro profilo, gli artt. 3, 51 e 97 della
Costituzione, ponendo in essere una ingiustificata disparità di trattamento in
danno di quanti non lavorano già alle dipendenze dell'amministrazione,
consentendo inoltre l'accesso alla qualifica superiore da parte di dipendenti i
quali non solo non abbiano svolto le relative mansioni, ma siano anche privi del
titolo di studio richiesto per la qualifica stessa.
2. - In via preliminare va precisato che il thema decidendum deve essere
propriamente individuato -in base alle puntualizzazioni contenute nella
motivazione dell'ordinanza di rimessione nella quale si dichiarano non
manifestamente infondate le "dedotte questioni di legittimità
costituzionale" relative all'art. 3, commi 205, 206 e 207 della legge n.
549 del 1995- nella disciplina dei corsi di riqualificazione recata appunto dal
suddetto art. 3, commi 205, 206 e 207 (modificato quest’ultimo, ma in modo non
rilevante, dall’art. 88 della legge 21 novembre 2000, n. 342) della stessa
legge, così come risulta dopo la "modifica legislativa" introdotta dall'art.
22 della legge n. 133 del 1999. Ed è pertanto sul testo così risultante,
nonché sul comma 2 del citato art. 22, che va condotto il presente scrutinio di
legittimità costituzionale.
3. - Nel merito, la questione è fondata.
Si deve innanzi tutto osservare che molteplici sono le modifiche introdotte dall’art.
22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina in esame; in particolare si
segnalano la riduzione dei posti riservati ai dipendenti dell'amministrazione
finanziaria (art. 3, comma 205), l'esclusione di una progressione per saltum e
l'impossibilità di esercitare, subito dopo l'ammissione al corso e sia pure in
via provvisoria, le funzioni connesse alla qualifica superiore (art. 3, comma
207). Tali modifiche escludono pertanto, per il loro contenuto innovatore ed
anche per l'intento dichiarato nel corso dei lavori preparatori della legge di
recepire i principi stabiliti dalla citata sentenza
n. 1 del 1999, che la disciplina denunciata possa essere considerata
confermativa delle precedenti disposizioni dichiarate illegittime, superandosi
così la prospettata censura di violazione del giudicato costituzionale. Ma
tuttavia non valgono ad evitare gli altri profili di censura incentrati sulla
violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Nella disciplina delle procedure di riqualificazione in esame permangono ancora,
nonostante le modificazioni introdotte, alcune lesioni dei principi
costituzionali in materia di organizzazione dei pubblici uffici. In particolare
va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, il
passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta "l'accesso ad un
nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto,
pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso"
(cfr. per tutte: sentenza
n. 320 del 1997, sentenza
n. 1 del 1999), in quanto proprio questo metodo offre le migliori garanzie
di selezione dei soggetti più capaci. Il pubblico concorso è altresì un
meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell'amministrazione, il
quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano
caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a
parteciparvi; forme che possono considerarsi non irragionevoli solo in presenza
di particolari situazioni, che possano giustificarle per una migliore garanzia
del buon andamento dell’amministrazione.
L'art. 22, comma 1 lettera a), della legge
n. 133 del 1999, nel riformulare il comma 205 dell'art. 3 della legge n. 549
del 1995, non ha però reso la norma conforme a questi principi. Ed infatti,
anche se ha escluso che la totalità dei posti vacanti nelle dotazioni organiche
delle varie qualifiche prese in considerazione sia attribuita all'esito di corsi
di formazione professionale, ai quali sono abilitati ad accedere soltanto i
dipendenti dell'amministrazione, riserva tuttavia ancora ad essi la totalità
dei posti messi a concorso, pari a gran parte dei posti disponibili, per di più
prevedendo una quota riservata che appare incongruamente elevata, così da
realizzare una duplice, sostanziale elusione dei principi enunciati. Né, oltre
tutto, all’epoca risultava bandito il concorso pubblico per la residua parte
dei posti, mentre è noto che il modello concorsuale richiede che la selezione
avvenga con criteri tali "da prevedere e consentire la partecipazione anche
agli estranei, assicurando così il reclutamento dei migliori", e a tale
modello si deve ricorrere anche per scongiurare "gli effetti
distorsivi" che il criterio dei concorsi interni può produrre (sentenza
n. 313 del 1994), attraverso forme di surrettizia reintroduzione dell'ormai
superato sistema delle carriere, in contrasto con il canone del buon andamento
dell'amministrazione (sentenza
n. 333 del 1993).
La previsione, nella disciplina censurata, non già di un concorso pubblico con
riserva dei posti, bensì di un concorso "interno", riservato ai
dipendenti dell'amministrazione per una percentuale dei posti disponibili
particolarmente elevata -e per di più incongrua in quanto stabilita in mancanza
di giustificazioni diverse da quelle già valutate negativamente nella sentenza
n. 1 del 1999 - appare pertanto irragionevole e si pone in contrasto con gli
artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
3.1. - Neppure le altre modifiche introdotte dall'art.
22 della legge n. 133 del 1999 alla disciplina recata dal citato art. 3
della legge n. 549 del 1995 riescono a superare le ulteriori denunce di
illegittimità costituzionale prospettate nell'ordinanza di rimessione.
A questo proposito, va innanzi tutto osservato che, sebbene sia stata esclusa la
previsione di una progressione per saltum, prima prevista per una delle
qualifiche, risulta ancora attribuita al criterio dell'anzianità una funzione
già censurata nella sentenza
n. 1 del 1999, in quanto "del tutto abnorme". In realtà è
proprio sul criterio dell'anzianità che sono fondate sia la riserva ai
dipendenti della indicata percentuale dei posti disponibili, sia l'ammissibilità
del conseguimento della qualifica superiore, anche in mancanza del titolo di
studio prescritto. Ed infatti, dato che non è stata modificata la censurata
genericità di contenuti della prova scritta di ammissione al corso,
quest'ultima non appare idonea a garantire, di per sé, una seria verifica dei
requisiti attitudinali, nonché ad evitare una sorta di automatico e
generalizzato scivolamento verso la qualifica superiore.
La previsione, inoltre, che le materie del corso sono fissate con decreto
ministeriale (art. 3, comma 206 lettera d) della legge n. 549 del 1995, come
modificato dall'art. 22, comma 1 lettera b) della legge
n. 133 del 1999) e che all'esito del corso i candidati sono sottoposti ad
una prova di carattere teorico-pratico, soltanto indicata come "prova
d'esame" (art. 3, comma 206 lettera e), come modificato dall'art. 22, comma
1 lettera b) della legge
n. 133 del 1999), non consente di superare, in mancanza di ulteriori e più
puntuali criteri, il fondato dubbio già formulato da questa Corte nella citata sentenza
n. 1 del 1999 in ordine alla "idoneità di un tale modo di selezione a
consentire una seria verifica della professionalità richiesta" dalle
qualifiche considerate.
In definitiva, il complesso delle modifiche introdotte dalla norma impugnata non
appare adeguato a rendere le procedure di riqualificazione in esame compatibili
con i principi costituzionali. Va pertanto dichiarata l'illegittimità
costituzionale dei commi 205, 206 e 207 -quest'ultima norma in quanto
logicamente ed inscindibilmente connessa con le prime due- dell'art. 3 della
legge n. 549 del 1995, così come modificati dall'art. 22, comma 1 lettere a),
b) e c) della legge
n. 133 del 1999. Va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale del
comma 2 del citato art. 22 della medesima legge
n. 133 del 1999, in quanto anche esso logicamente ed inscindibilmente
connesso con le norme precedentemente indicate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 205, 206 e 207 della
legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica), come modificato dall'art. 22, comma 1, lettere a), b) e c) della
legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione,
razionalizzazione e federalismo fiscale);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 2, della medesima legge
13 maggio 1999, n. 133.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 9 maggio 2002.
Massimo VARI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2002